L'impiego dei tannini in enologia

L’uso del tannino di galla in enologia risale a molto tempo addietro e sino ad una ventina di anni fa era l’unico impiegato per favorire la chiarificazione dei mosti in combinazione con varie proteine e per rimediare all’ipercollatura dei vini bianchi.
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In questi ultimi anni il numero ed il tipo di preparati a base di tannini diversi si è moltiplicato, così come gli scopi che si cerca di conseguire con essi.

Ma, innanzitutto, cosa sono i tannini?

Sotto questa definizione generica si comprendono numerose sostanze estratte dai vegetali, che costituiscono un gruppo eterogeneo, caratterizzato tuttavia dalla presenza di numerose funzioni  fenoliche. Oltre i classici tannini di galla, già menzionati, sono ora disponibili tannini estratti dal legno di quercia, di castagno, da alberi esotici e dai loro frutti e, più recentemente, dai vinaccioli e dalle bucce dell’uva. La composizione chimica e le proprietà di questi tannini non sono le stesse e quindi una conoscenza almeno sommaria della loro classificazione è indispensabile al tecnico.

I tannini possono essere classificati in almeno due gruppi distinti:

  1. tannini idrolizzabili: sono così definiti perché in presenza di acidi forti a caldo si idrolizzano in uno zucchero (glucosio) e in molecole di acido ellagico o acido gallico. Abbiamo così i gallotannini e gli ellagiotannini. I primi sono estratti dalle galle di quercia, d’acacia, dai frutti di sommacco e di tara. Gli ellagiotannini sono presenti nel legno di quercia, di castagno e di mirabolano.
  2. tannini condensati o proantocianidinici: sono presenti nell’uva e nel legno di quebracho. Per idrolisi acida originano in parte delle antocianine (di qui il loro nome di pro-antocianidine) e in parte dei complessi insolubili (flobafeni). In questo gruppo è opportuno distinguere i tannini poco condensati, estratti dai vinaccioli, da quelli a peso molecolare più elevato, presenti nelle bucce. I tannini da quebracho hanno composizione intermedia.
Effetti sensoriali

Al di là delle loro funzioni chimiche, è evidente che una discriminante essenziale è rappresentata dall’incidenza sulle caratteristiche gustative dei vini. Per quanto riguarda i tannini dell’uva è abbastanza noto come quelli estratti dai vinaccioli siano in media assai più astringenti di quelli estratti dalle bucce, ma che entrambi i tipi tendono col tempo ad evolvere, combinandosi sia fra loro, sia con gli antociani e le mannoproteine rilasciate dalle pareti dei lieviti e perdono in tal modo le loro caratteristiche più aggressive. Una delle finalità più importanti dell’affinamento dei grandi vini rossi molto ricchi in polifenoli è proprio questa lenta evoluzione con arrotondamento del gusto. Il caso dei tannini idrolizzabili estratti da vari vegetali è invece del tutto diverso: essi non hanno la capacità di unirsi né agli antociani, né ai tannini del vino, per cui il loro effetto sensoriale è da valutare con molta più attenzione. I tannini contribuiscono molto anche alla struttura o corpo del vino, ma è necessario qualche tempo (da tre a sei mesi dall’aggiunta) perché si armonizzino completamente col mezzo.  Se assaggiato immediatamente dopo l’addizione spesso il vino sembra “dissociato”, nel senso che si percepiscono subito le sue caratteristiche tipiche e, dopo qualche tempo, quelle dei tannini aggiunti. Un’addizione di tannini è quindi da sconsigliarsi sui vini di pronta beva o, almeno, va prevista già in fermentazione. Questi miglioramenti gustativi sembrano accentuarsi nelle annate difficili, quando la qualità dei vini risulta in complesso un poco compromessa. Dati contraddittori e non conclusivi per quanto riguarda l’incidenza dell’addizione di tannini sui composti volatili che caratterizzano il profumo dei vini: benché i dati analitici sembrino confermare una diminuzione nello spazio sovrastante la superficie del vino di numerosi composti volatili, l’esame olfattivo dei medesimi vini non sembra confermare tali differenze.

Protezione nei confronti delle ossidazioni

Il vino nel corso della sua elaborazione viene inevitabilmente più o meno sovente e con varie intensità a contatto con l’ossigeno. Questo gas tende a scomparire molto rapidamente dal vino, senza che l’eventuale solforosa presente sia immediatamente ossidata. Sono presenti quindi altre sostanze che captano l’ossigeno con grande efficacia e questi composti sono i polifenoli. Infatti è ben noto che i vini rossi, ricchi di tali componenti, risentono molto meno (anzi traggono beneficio) di modeste ossidazioni. Fra i tannini di uso enologico però non tutti hanno a questo proposito uguali proprietà. In generale i tannini gallici ed ellagici reagiscono prontamente con l’ossigeno, molto più efficacemente (da due a tre volte) dei tannini dell’uva, benché quelli da vinaccioli siano assai più ossidabili di quelli ottenuti dalla bucce. Di qui l’uso dei tannini gallici o ellagici per proteggere i vini dai fenomeni degenerativi legati alle ossidazioni, sia nel corso dell’affinamento in fusti, sia durante tutti quei trattamenti che possono portare il vino a contatto con l’aria (i travasi, le chiarificazioni, le filtrazioni, ecc.).

Stabilizzazione del colore

A questo proposito vanno chiarite alcune differenze fondamentali fra tannini derivanti dall’uva e i tannini idrolizzabili, gallici o ellagici. I primi, del tutto analoghi a quelli che già troviamo nei vini, hanno la capacità di partecipare direttamente alle reazioni di polimerizzazione fra tannini ed antociani, polimeri colorati che rendono molto più stabile il colore. Nei vini in cui vi è uno squilibrio fra antociani e relativamente scarsi polifenoli flavanici, un’addizione di tannini estratti dall’uva può rimediare a tale inconveniente e favorire l’evoluzione del colore verso una maggior frazione polimerizzata e quindi più durevole nel tempo. Anche i tannini gallici ed ellagici possono incidere favorevolmente sull’intensità colorante, ma attraverso un diverso meccanismo, dal momento che sono incapaci di polimerizzarsi direttamente con gli antociani. Essendo molto sensibili all’ossigeno, attraverso un processo di ossidazione accoppiata con l’etanolo presente nel vino, originano acetaldeide.